Triste tigre è un memoir che raccoglie la testimonianza di una donna ormai adulta, Neige Sinno, che ha subito abusi sessuali dal patrigno ripetutamente da quando era una bambina, fino all’adolescenza. La lettura sembra ricordare l’approccio che il lettore assume quando legge La coscienza di Zeno, infatti chi legge è come uno psicoterapeuta che cerca di capire la vittima e filtra le sue parole, le analizza, le studia e prova a trovare un perché di tanto orrore e tanta sofferenza. L’autrice è lucidissima, narra con distacco le vicende subite, scava nei suoi ricordi, si analizza e dichiara “state attenti alle mie affermazioni, si presenteranno sempre mascherate”, perché “il mio spazio, quello davvero mio, non è in queste righe, esiste solo dentro”. E’ perfettamente consapevole che tutto ciò che rievoca, pensa e interpreta è soggettivo, quindi in parte distorto e filtrato dal suo io, nonostante ciò cerca di ripercorrere le sue reminiscenze con oggettività. Questo aspetto colpisce, ci troviamo davanti a una donna acutissima, con capacità intellettive alte; quando scrive della sua carriera scolastica infatti l’autrice rivela un percorso di studi e poi lavorativo brillante, Neige Sinno è una critica letteraria, traduttrice e scrittrice. Non si riesce a non pensare che questa sua intelligenza spiccata l’abbia aiutata a sopravvivere alla sua vita, fatta di ferite irricucibili. La profondità di pensiero assoluta che dimostra la Sinno sembra derivi proprio dalle sue doti intellettive, che sono accompagnate da una forza di carattere innata che le ha permesso di farle prendere un posto nella relazione con il mostro, lei gli ha tenuto testa con il suo disprezzo. E’ da questa forza che nasce il coraggio di raccontarsi, non si vergogna di quello che scrive (e non ha nessun motivo per farlo), la scrittrice ci tende la mano e ci porta con lei nel suo dolore, ci fa addentrare in uno spaccato di vita che ha accomunato, e purtroppo accomuna ancora, molte vittime. In un certo senso la Sinno fa divulgazione su una tematica che per la nostra società è proprio un tabù, rifiutiamo di addentrarci in certi fatti di cronaca perché li troviamo ripugnanti e rimaniamo così allo scuro di dinamiche che esistono; ma più si respinge qualcosa, più non si trovano soluzioni, più la tematica rimane sconosciuta e si crea ignoranza e menzogna. Non a caso l’autrice parla di disonore, solitudine e vuoto quando si denuncia un abuso, lo scempio infatti si abbatte su una famiglia intera, spesso le vittime non si espongono per paura delle conseguenze; nel piccolo paesino di montagna in cui lei viveva, dopo il processo al suo patrigno, molti non la salutavano più. Il libro ci parla anche delle dinamiche che la vittima e il carnefice vivono, traccia il ritratto degli abusanti di bambini, partendo da quella insospettabile del patrigno della scrittrice, fino ad arrivare alle forme di detenzione che vengono messe in atto per reati di abuso su minorenni. Colpisce la mancanza di risentimento verso il mondo, l’autrice si sente vittima, adopera una forte condanna verso il suo carnefice e gli abusanti in generale, ma la narrazione non grida mai, il dolore viene raccontato con un’umiltà che commuove e fa sorgere nel lettore un profondo rispetto per lei. La Sinno scrive il libro cercando di mettere una distanza tra sé e le vicende subite, vuole rompere il binomio di carnefice-vittima, non cerca pathos, lei analizza e pone il lettore nella condizione di comprendere i fatti, sondarli psicologicamente e socialmente. Vuole dare vita a un’opera che sia valida in termini letterari, non divaga nel sentimentalismo, è preoccupata del fatto che il libro possa esistere nella letteratura non per le sue capacità di scrittura, ma solo per l’argomento affrontato, che viene giustamente esteso, ampliato, così leggiamo: “con questo libro […] io mi espongo al punto tale che gli uomini e le donne che lo leggeranno vi possano attingere particelle di pensiero che useranno poi al di fuori dal contesto di partenze”, ovvero l’esperienza tragica dell’abuso sessuale. Sta proprio qui il punto di forza della narrazione, far schiudere gli occhi al lettore portandolo a ragionare in termini assoluti: l’esperienza della narratrice rispecchia il concetto del Male in generale, quello più oscuro e crudele, quello che facciamo fatica ad accettare e che tutti potremmo arrivare a toccare nella vita.

Di Giulia

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