Il censimento dei radical chic è un libro del 2019 editato dalla Feltrinelli nella collana “I Narratori”. L’autore è Giacomo Papi, scrittore e giornalista (per la Repubblica, il Post e Il Foglio), forse vorrà anche sentirsi definito intellettuale, e allora aggiungiamolo. Proprio di intellettuali racconta il romanzo, in particolare della loro repressione, che si verifica in Italia, in un avvenire distopico; l’autore stesso dichiara nel colophon “I fatti narrati in questo libro accadranno”, forse dovevo aggiungere anche veggente nella presentazione. Ma tralasciamo le definizioni e passiamo alla trama.

La vicenda si apre con l’omicidio di un professore universitario, la società è in rivolta contro tutti gli intellettuali, il populismo dilaga, nessuno vuol più sentire pronunciare paroloni altisonanti incomprensibili e l’Italia è caduta in mano a un novello Mussolini che impone la dittatura dell’ignoranza, perché è questa che vuole il popolo. Parlo di un novello Mussolini perché i riferimenti usati per costruire il personaggio sono concentrati sulla figura dell’ex dittatore: in questa distopia il primo ministro è anche ministro dell’interno, Mussolini con quest’ultima carica prese pieno potere dopo il discorso del 1925 sul delitto Matteotti, discorso che viene riproposto nel libro in chiave simile. Il censimento dei radical chic invece ricorda il censimento degli ebrei del 1938. Un po’ esagerato il parallelismo? Direi di sì. Non andrò oltre a svelare i dettagli della trama, perché non è etico per una che odia gli spoiler (cerco sempre di recensire senza raccontavi troppo perché la cosa più bella di leggere è il disvelamento di ogni pagina), aggiungo solo che la protagonista è la figlia del professore assassinato e incarna la voce critica, è colei che sta in mezzo alle due fazioni che si scontrano in questa società malata: i populisti e i dem. E’ colei che smaschera, analizza riflettendo e facendosi domande, invece che sentenziare: una piccola luce nel tunnel di questo libro.

Dunque la società è polarizzata. A destra chi ha mandato ciecamente al potere un dittatore, gli stupidi, gli ignoranti, quelli che non vogliono sentire nominare filosofi, intellettuali e scrittori, tra i quali troviamo la categoria degli arrabbiati, quelli che i filosofi e gli scrittori li hanno studiati: filosofi frustrati, filologi depressi, insegnanti precari e cinquantenni stagisti, in generale tutti coloro che dal mondo accademico hanno ricevuto un calcio sui denti e quelli che non hanno trovato un posto di lavoro all’altezza dei loro studi, insomma gli sfigati che non sono riusciti a emergere nel mondo accademico e lavorativo. A sinistra invece abbiamo, gli unici che votano ancora i socialisti, le vittime della nuova dittatura, chi subisce le angherie di questi rozzi italiani: i radical chic, i quali hanno però anche loro delle colpe, come quella di essersi tagliati fuori dal dibattito pubblico, arroccandosi nei loro privilegi di intellettuali, perdendo la loro funzione guida per il popolo e diventando cariatidi per i loro stessi palazzi art déco. Non puzza un po’ di cliché? Per me troppo.

Già a pagina 29 ho cominciato a temere che il libro fosse un buco nell’acqua, continuando la lettura tutte le mie sensazioni a riguardo sono state suffragate. Pensavo che il delitto iniziale comportasse una struttura della narrazione che vertesse sul genere poliziesco, ma in realtà brancoliamo nella fantascienza, la questione dell’omicidio viene accantonata e il libro si concentra sul “cosa ne sarà di noi poveri intelligenti in questa marea di idioti che ci circonda?”. La domanda proviene dallo stesso autore, il quale si schiera tra gli intellettuali, ma non i ridicoli radical chic ovviamente, sarebbe un autogol, intravedo il suo alter ego in Cesare oppure nel professore assassinato, due personaggi di cultura che non si presentano ottusi. Ma chi è un radical chic? La Treccani ci viene in aiuto: “chi, per moda o convenienza, professa idee anticonformistiche e tendenze politiche radicali”, ovvero chi ama atteggiarsi da grande acculturato, snobba chi non la pensa come lui (perché tanto gli altri sono tutti scemi), fa il progressista, ma è incoscientemente borghese fino al midollo.

E’ chiaro che il libro voglia riflettere sulla figura odierna dell’intellettuale e sul suo ruolo nella società, dunque mi chiedo: perché l’intellettuale deve essere per forza radical chic? Perché deve scimmiottare un modo di essere che lo fa appartenere a una determinata categoria? L’intellettuale per definizione dovrebbe essere un libero pensatore e quindi non dovrebbe rifarsi a pose e modelli preconfezionati perché sarebbe già un modo di ingabbiarsi e limitare le proprie idee e riflessioni. Inoltre non deve avere bandiera politica. Condurre un’esistenza aderendo ai principi della sinistra champagne non gli permette di esporsi in modo oggettivo, il suo contributo sarà sempre tendenzioso, per forza strizzerà un occhio (cieco) a una parte politica ben precisa. L’intellettuale deve permettersi di mettere sempre in dubbio tutto, senza preoccuparsi di fare torto a nessuno, deve essere indipendente. Ovviamente anche lui avrà le proprie idee politiche, ma non ha senso si conformi a modelli di destra o sinistra, anche perché da vero scettico e analista non potrà mai aderire completamente a tutte le idee di un partito, c’è sempre una questione su cui non si è d’accordo nell’agenda politica, per questo l’intellettuale non può essere del tutto schierato, avrà degli ideali, per forza, anche idee pragmatiche di economia, amministrazione e gestione del Paese, ma devono essere idee che si basano su ragionamenti scientifici che esulano dallo schieramento politico. Solo così potrà essere credibile e affidabile.

Il libro offre uno spunto di riflessione più che giusto, il mondo è cambiato velocissimamente dal secondo dopoguerra a oggi, va da sè che anche la figura dell’intellettuale deve stare al passo, e così sorgono le domande: chi è veramente l’intellettuale oggi? E’ ancora necessario nella società odierna? Deve evolversi, cambiare? Una nota positiva è che Papi nel suo libro ci fa sorgere questi quesiti attraverso una narrazione che comunque è ironica e leggera: sceglie i nomi dei personaggi in modo beffardo, crea delle caricature e, con una trovata simpatica, inserisce delle note a piè di pagina ridicole. Nonostante questa leggerezza la previsione dell’autore è nefasta: ci ritroveremo vittime degli ignoranti, in un periodo di dittatura molto buio e di repressione. Eppure oggi la cultura woke domina negli ambienti universitari, soprattutto negli Stati Uniti, e chi si permette di metterne in dubbio qualche visione o affermazione viene tacciato di essere un conservatore o ancora peggio di essere fascista. E se nella distopia di Papi il regime adotta l’Autorità Garante per la Semplificazione della Lingua Italiana per eliminare le parole più desuete, arcaiche e difficili in modo da pubblicare testi il più possibile consoni a un pubblico di illetterati, oggi è l’élite culturale a proporre, con la sua cancel culture, di censurare i libri non consoni. Così ecco che si cerca di sostituire la parola negro nei testi di Agatha Christie con una più accomodante e meno scandalosa, come se i lettori non fossero abbastanza intelligenti da capire che l’autrice scriveva in altri tempi e le parole e il modo di pensare erano ben diversi da quelli attuali. Sono convinta che ancora una buona parte di lettori sia dotata di cultura e intelligenza, ma forse qualche radical chic non lo crede. Arrivata a questo punto della riflessione mi sembra che il futuro distopico che ci ha presentato Papi si stia verificato, ma al contrario: oggi chi vuole dettare legge è proprio chi appartiene alla sfera degli intellettuali della gauche-caviar e chi subisce sono quelli che vengono ritenuti stupidi. Probabilmente all’autore non sta nemmeno bene che a giudicare il suo libro sia una comune laureata, però per fortuna non siamo ancora in una dittatura e io posso recensire il libro, che vi sconsiglio. 

Di Giulia

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