Un no secco per La neve in fondo al mare di Matteo Bussola. Probabilmente il problema del libro risiede nel come è narrato il contenuto, che riguarda essenzialmente il disagio psichico degli adolescenti. La vicenda è ambientata ai nostri tempi, poco dopo la fine della pandemia di Covid che ha aggravato lo stato emotivo e psichico di parecchi teenager. Lo stile di Bussola è basico, inoltre alcuni personaggi stereotipati presentati, primo fra tutti il papà-manager, rendono stucchevole la lettura. Il tema del disagio giovanile è filtrato dal narratore interno, un padre in colpa che, mentre si trova in ospedale con il figlio ricoverato a causa di una fase parossistica di anoressia, ripercorre la sua vita negli attimi più significativi vissuti con lui. La struttura narrativa dunque si sviluppa tra passato e presente, tra capitoli brevi in cui ci sono riflessioni e flashback di attimi di vita ormai andati, e altri altrettanto sintetici (per fortuna) in cui si ritorna alla dolorosa realtà della malattia. Nella storia, nelle vicende, nei personaggi non ho trovato complessità, i sentimenti dovrebbero essere plurimi, il disagio molteplice considerando che si parla di malattie psichiche, ma non c’è un adeguato approfondimento né sulle singole storie dei personaggi, né sulla caratterizzazione psicologica dei personaggi. La sensazione è che viga lo stereotipo e il clichè, che vengono smorzati dal fatto che l’autore ha scelto un ragazzo maschio affetto da anoressia, una malattia che tipicamente si riscontra nell’altro sesso, e che a farci entrare nella relazione genitoriale non sia la madre, bensì il padre. Il tono della narrazione è eccessivamente patetico e azzardo a dire che ci siano sfumature da volgare soap opera, manca quel tanto di crudezza e realismo. Mi dispiace ma per me non ci siamo, tutti gli aspetti riscontrati non mi fanno che propendere per un deciso e secco no.