Ho letto, su consiglio, L’uomo della pioggia (The Rainmaker) dello scrittore, avvocato penalista e politico statunitense John Grisham. La mia edizione Mondadori è vecchiotta, del 1996, in particolare la collana è quella de “I miti” (ben 5900 lire!). Dunque il romanzo era già entrato a far parte del mito, nonostante il suo scrittore avesse iniziato la sua carriera da poco, infatti il suo primo libro, Il momento di uccidere (A Time to Kill), fu editato nel 1988. Un successo immediato quello di Grisham che prima de L’uomo della pioggia ha dato vita a best seller come Il socio (The Firm) e Il rapporto Pelican (The Pelican Brief), fra l’altro tutti e due, esattamente come per L’uomo della pioggia, diventati film in cui i protagonisti sono stati attori del calibro di Julia Roberts, Denzel Washington, Tom Cruise, Matt Damon e Danny DeVito.

Il nostro uomo della pioggia, il giovane avvocato Rudy Baylor, è il protagonista della storia, il quale, appena laureato, si ritrova a portare in causa un colosso delle agenzie assicurative statunitensi: la Great Eastern. Le vicende personali travagliate del venticinquenne e neolaureato Rudy Baylor si intrecciano con quelle del mondo dell’avvocatura, fino ad arrivare al momento del processo, al quale sono dedicati più capitoli. E’ qui che si arriva al cuore della vicenda, dove tutta la parte giudiziaria è narrata in modo meticoloso e perfettamente comprensibile. Grisham è bravissimo a farci addentrare del mondo della giustizia con spirito di curiosità, senza mai ammorbare il lettore con difficili tecnicismi, ci fa capire le dinamiche del processo, tanto da farci immedesimare nella situazione e farci chiedere: “se fossi stato tra la giuria, cosa avrei pensato e deciso dopo aver sentito i testimoni interrogati?”.

Ma tra le pagine del libro non assistiamo solo alle varie fasi di un procedimento giudiziario, entriamo anche nel mondo opaco degli studi legali americani, capiamo come conduce la sua carriera un avvocato e che genere ne esistano, infatti vengono passati in rassegna avvocati onesti e con valori, ma anche veri e propri criminali e sciacalli. Ci si ritrova a voler conoscere di più circa questo universo così spietato dove gli avvocati comuni per poter sopravvivere devono procacciarsi casi e lavorare tanto, molto, per poter tenere a galla il loro studio e sopravvivere alla concorrenza di un numero di colleghi sempre crescente, nonché alla presenza di ricchi, organizzati e potenti studi legali associati. Si parla di professionisti con contratti da un orario minimo di sessanta ore settimanali, che vivono per il lavoro e alcuni con uffici lussuosi in cui studiare le loro arringhe, ma tra quest’ultimi ovviamente non c’è il nostro Rudy.

La figura del protagonista cattura il lettore, diventiamo da subito dei suoi sostenitori, impossibile il contrario perché questo ragazzo in gamba che cerca di fare lo yuppie, senza esattamente riuscirci, viene illuso, usato e infine anche incolpato di atti mai commessi proprio dal mondo nel quale, appena fresco di laurea, cerca di entrare, ovvero quello dei grandi e autorevoli studi legali della città di Memphis. Rudy è affascinato dal mondo dell’avvocatura, sogna di farne parte e ambisce a un posto in uno studio importante, ma si renderà subito conto come in certi ambienti non sia facile entrare se non si possiede una lunga sfilza di nomi nei quali possibilmente figuri anche un “Junior”, con magari un numero romano a chiudere l’elenco. Rudy infatti non proviene da una famiglia importante ed è pure squattrinato, due aspetti che gli precludono fin da subito tante possibilità per la sua carriera, dovrà fare presto i conti con la realtà capendo che fuori dall’università il mondo del lavoro non è lì a braccia aperte ad aspettarlo, tanto che cambierà le aspettative sul suo futuro e scenderà a compromessi con se stesso ritrovandosi a lavorare per un avvocato con un’etica non proprio cristallina. Arriverà ad ammettere di odiare gli importanti studi di avvocati proprio per il fatto di non poterne far parte. Ecco perché il romanzo oltre che appartenere al genere legal thriller, lo si può anche considerare un romanzo di formazione, non solo c’è la presenza di un protagonista avvocato che vuole rendere giustizia a un innocente, in una narrazione con al centro lo sviluppo del funzionamento giudiziario, ma è presente anche la maturazione nel protagonista di una nuova visione della realtà, data da un’infilata di batoste che il povero Rudy riceve nel susseguirsi degli eventi.

Nel contribuire a farci tifare per il nostro giovane avvocato intraprendente è la scelta azzeccata di Grisham di utilizzare la focalizzazione interna, infatti a parlare è sempre Rudy che filtra i fatti attraverso la sua visione del mondo ironica e pungente, portando il lettore a schierarsi con lui (e il suo cliente), conto i farabutti della Great Eastern, in una contrapposizione da “Davide contro Golia”. Inoltre lo stile chiaro e incisivo dello scrittore, che si serve spesso del discorso libero indiretto, fa scorrere la lettura (anche grazie al lavoro della traduttrice Roberta Rambelli), tanto che 534 pagine si leggono velocemente, incalzati anche dal susseguirsi di accadimenti che ci tengono in tensione e ci fanno venir voglia di sapere di più, proprio come un vero thriller dovrebbe fare. Non mancano l’elemento amoroso, la parte di azione, i rovesciamenti e i colpi di scena, il tutto perfettamente orchestrato fino alla fine del romanzo. Insomma se non l’avete ancora capito, sono rimasta entusiasta dalla lettura e ve la consiglio, soprattutto se avete voglia di avventurarvi nel mondo legale dell’America degli anni Novanta.

Di Giulia

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